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    Quell’articolo che vieta il professionismo nella pallacanestro femminile

    Quarantanove condivisioni e 178 “like” (se i numeri fossero prova di un valore) sono stati attribuiti al post che Giulia Manzotti, ala della Maddalena Vision Palermo, ha

    Giulia Manzotti della Maddalena Vision Palermo
    Giulia Manzotti della Maddalena Vision Palermo

    pubblicato la scorsa settimana, riflettendo sul mancato riconoscimento del titolo di “professionista” alle donne che giocano a pallacanestro. “Perchè non posso essere considerata un’atleta professionista a “causa” del mio sesso“, si è chiesta la giocatrice romana, sorella di Francesco Manzotti, atleta che ha giocato in passato anche lui in Sicilia nelle fila del Basket Acireale (C1).

    Il post è inevitabilmente ben argomentato. “Molto spesso il percorso, come quello dei ragazzi, inizia da giovanissime, all’età di 14/15 anni lasciamo la nostra casa, la scuola (che si riprenderà in un’altra città) e gli amici per inseguire i nostri sogni , sogni che spesso ci sballottolano in giro per il mondo anno dopo anno, […], sogni che ci costruiamo noi con le nostre rinunce, le lacrime, le gioie, i dolori,gli ostacoli, i traguardi e le soddisfazioni ma si.. i nostri sogni e le nostre aspirazioni. Io qui ora non vedo differenze davvero..“.

    Non c’è effettivamente differenza nelle giornate e negli obiettivi che un cestista e una cestista di massima serie vivono, ma da un punto di vista legislativo, contrattuale ed economico passa tutta la differenza nel mondo. La disposizione che nel basket – secondo Regolamento Esecutivo della Federazione Italiana Pallacanestro – non rende di fatto possibile il riconoscimento del professionismo nelle donne che giocano nei campionati nazionali è questa

    Art 4bis “Giocatore non professionista”

    [1] Sono qualificati “non professionisti” i giocatori e le giocatrici che, a seguito di tesseramento nazionale o regionale, svolgono attività per Società partecipanti ai Campionati nazionali o regionali maschili o femminili, esclusi quindi i Campionati Nazionali maschili definiti professionisti.

    [2] Per tutti i giocatori o giocatrici, così come definiti al comma [1] del presente articolo è esclusa ogni forma di lavoro, sia autonomo che subordinato.

    In assenza di modifiche questo è lo stato dell’arte che, anche in futuro, caratterizzerà la pallacanestro femminile, ma nell’anno in cui la Sicilia vive un exploit grazie al suo giovane settore femminile è corretto porsi una domanda: che garanzie avranno anche i nostri talenti che vorranno fare (se saranno all’altezza di farlo) della pallacanestro una passione/lavoro?

    Abbiamo provato a cercare una risposta coinvolgendo Ninni Gebbia, ex giocatore di categoria oggi allenatore di livello, responsabile del Ctf femminile Sicilia.

    Non sono un dirigente, nè presidente di una società femminile, ma è chiaro che nell’equiparare una giocatore ad una giocatrice incide più una questione di budget e visibilità. Il movimento femminile, anche a livello nazionale, ha numeri troppo risicati. Un riscatto potrebbe arrivare dai risultati che le atlete più giovani, parliamo della Sicilia, stanno raggiungendo nell’ultimo periodo. Traguardi raggiunti che danno visibilità e magari un riscontro in termini di crescita delle tesserate, ma si andranno ad ingrossare fila ancora ridotte“.

    L’allenatore ragusano non sa se sia possibile rivedere l’articolo 4bis, inerente al “non professionismo”, ma di una cosa è certo: “Oggi, da allenatore o da giocatore, è impossibile fare pallacanestro se non avendo alle spalle un altro sostegno economico. Fare crescere un allenatore è quasi impossibile, rispettare un contratto altrettanto. Il consiglio che mi sento di dare a tutti i giocatori, indifferentemente dal sesso, è di essere consapevoli nell’atto di scegliere di vivere oggi di pallacanestro“.

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