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    Ragusa ospita Lupebasket: il testo di Lia Valerio “introduce” il match ed esalta Romeo

    “Paura e delirio“, ‘introduzione emozionale al match contro Lupebasket è online sul sito della Passalacqua Spedizioni Ragusa.

    Andata. Ritorno. Ancora andata. Ritorno, no, recupero. Confusione. Non lo avevamo appena sentito quel “Nicole Ro-me-o” uscire di prepotenza dagli schermi? Non l’avevamo appena vista, Nicole Romeo, folgorare retina e difensore per sei volte in neanche venti minuti? Non era stato l’altro giorno quel quarto di paura e delirio al PalaMinardi? Perché per Ragusa, la partita di metà dicembre contro San Martino di Lupari è stata questo. Paura e delirio. Paura per i primi venti minuti, delirio per i secondi venti. San Martino di Lupari era entrata in campo come al solito. Quadrata, precisa, sicura. Un corpo solo. Un pugno chiuso che ti arriva in faccia e fa male se non sei pronto. E Ragusa non è pronta. Sarà la sesta partita in diciassette giorni, che è roba da Champions League di calcio. Sarà che se non te la passi, gli dei dentro al canestro la palla non la mandano. Ragusa si fa male, perché i pugni in faccia fanno male. Possono far diventare pazzi. Paura e delirio. E allora, se ne sei capace, bisogna che tu ci corra insieme a quel delirio. Bisogna che lo cavalchi, anche se lui non ha sella e non ha staffe. Chi ne ha un po’ dentro, di delirio, rimane a cavallo. Chi non ne ha, cade. E lei ne ha. Perché non segni sei tiri insensati se non hai quel bel delirio nella testa, le molle nelle caviglie e una cascata d’oro che ti sgorga dalle mani. È tiratore, Nicole Romeo. Lo dice la voce al microfono. E vorrei vedere. Quello step-back, quell’uscita dal blocco cadendo di lato e quel tiro da nove metri allo scadere non li pensi neanche, se non sei tiratore. Ma tiratore come? Un misto tra deliro e oro, tra incoscienza e consapevolezza. In bilico tra linee sottilissime, tra bocche spalancate e mani nei capelli, pugni e occhi alzati al cielo. Forse neanche lei sa come fa, forse non ci pensa. Quella palla e quei piedi sono fulmini e saette. Non ha bisogno di altro, è troppo veloce. Per lei il tempo è un signore distratto, cantava qualcuno. E se arriva un difensore, meglio. Più la soluzione è impensabile, più lei la pensa. La allena. E più è difficile, più la trasforma in oro. È il magico mondo del tiratore. Ma di quale tiratore? Non sono tutti uguali? No, per fortuna. Perché in quel delirio colorato di verde, dall’altra parte del campo, in giallo, ce n’è un altro di tiratore. Con l’oro nelle mani, il ghiaccio negli occhi e un computer nella testa. Sono figlie degli anni Ottanta, Nicole Romeo e Jolene Anderson, ma sembrano figlie di due epoche diverse. Nicole è quello che anni fa non avrebbe osato esistere. Jolene Anderson è quello che è venuto prima delle molle sotto ai piedi, prima dei palleggi e degli step-back, della ricerca della velocità a ogni costo. È la lettura del gioco, di quello che fanno i compagni, di quello che fa il difensore.

    Se tu provi a pensare come lei, a essere avanti di un secondo, lei sarà avanti di due. Perché nella testa ha la calcolatrice, il goniometro e il contapassi e il barometro e il computer di bordo della NASA. Non la mandi a destra, lei va a sinistra. E se non sai che sta per andare a sinistra, sei già in ritardo. Lei a sinistra ci va, ma l’ha pensato prima di te e le corri dietro e una partita di scacchi contro La Regina Degli Scacchi sarebbe meno stressante. Stai recuperando su Romeo, close-out, ci sei. Lei palleggia, pensi stia per partire e invece è già mezzo metro più indietro e sta tirando. Anderson sta uscendo dal blocco, lasci un pezzo di anima sulla bloccante per uscire insieme a lei, ma lei lo sa, così aspetta che tu sia con lei e torna indietro. E quando tu lo sai che sta per farlo, è tardi. Sai anche che ora Romeo sta tirando e ti tuffi verso di lei, ma è già altri trenta centimetri più a sinistra ed ecco che alla fine ti ha tirato in faccia. Tutta storta, una gamba più avanti dell’altra e la palla che sale per finire nel canestro bella che dopo tutto quel palleggiare e fintare sembra di aver visto un quadro di Pollock. Un delirio spaventosamente perfetto e nel frattempo, come sapevi, Anderson è tornata indietro. Prendi canestro in back-door. Dopo tutto quel correre sui blocchi, prendi un back-door. Tutte quelle linee, curve, punti e alla fine è tutto spaventosamente Kandinsky. Ti chiedi se sia peggio farsi battere da Pollock o da Kandinsky. Non importa. Guardi e basta. Guardi perché due opere d’arte così, insieme, sullo stesso campo, potrai vederle domani e poi chissà.

    Lia Valerio

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